mercoledì 16 luglio 2008

FESTINO 2008 TRE FERMATI PER AVER RIVENDICATO IL DIRITTO ALLA CASA

FESTINO 2008 ..
Tre fermati e denunciati solo per aver rivendicato il diritto ad informare i cittadini delle ragioni della protesta civile e pacifica per il diritto alla casa.
Un centinaio tra famiglie organizzate nel Comitato di lotta per la casa 12 Luglio ed attivisti della Rete sociale di sostegno hanno contestato la logica falsa di chi organizza il festino di Santa Rosolia per ottenere facile consenso politico. Una FESTA di immagine per l’amministrazione comunale che se ne frega dei bisogni dei POVERI..

NON SI VOLEVA GUASTARE LA FESTA A NESSUNO, tanto meno al popolo palermitano!…
Tant’è che si era già concordato con i responsabili dell’ordine pubblico che la pacifica occupazione dello spazio antistante il palco nell’atrio della cattedrale, sarebbe cessata prima dell’inizio dello spettacolo previsto, previa lettura del breve volantino di illustrazione delle ragioni della protesta.
Si era stati, persino, autorizzati a sfilare prima dei carri e dei cordoni delle forze dell’ordine.
Poi, all’improvviso, i responsabili dell’amministrazione hanno negato l’autorizzazione ed hanno chiesto alle forze dell’ordine di intervenire.
Ciò ha portato ad un breve parapiglia sotto il palco ed al fermo e successiva notifica di denuncia per tre attivisti, fra cui Toni Pellicane, portavoce storico del Comitato di lotta 12 luglio.
La verità è che la giunta non poteva consentire che si leggesse un breve comunicato che denunciava con chiarezza l’inettitudine e la sfrontatezza di una amministrazione che ha lasciato incancrenire i problemi della città, in primo luogo le gravissime emergenze sociali.
CHIEDIAMO ai cittadini tutti, agli intellettuali, agli artisti, ai soggetti politici e sociali di SCHIERARSI DALLA PARTE DEI BISOGNI della parte debole ed indifesa del popolo palermitano. DI MOSTRARE SOSTEGNO ed APPOGGIO concreto ad una lotta per i diritti e la dignità che va avanti da oltre sette anni, con coraggio e coerenza.
Ci sono stati già importantissimi attestati di appoggio e adesione alle nostre richieste
IN PRIMISSIMO LUOGO, l’APPELLO dell’ARCIVESCOVO ROMEO perché CASA e LAVORO, non rimangano diritti negati e perché riparta il tavolo di trattativa.
LUNEDI prossimo 21 luglio era stato accordato un nuovo incontro con l’amministrazione comunale a patto e condizione che non si turbasse il festino…
Bel modo d’impostare un dialogo sociale serio….!!Noi sfidiamo l’amministrazione per il 21 luglio.
Per noi l’incontro si deve fare..Saremo all’appuntamento, chiediamo a quanti più cittadini possono di venire con noi.
Se l’amministrazione diserterà l’incontro mostrerà all’opinione pubblica tutta la sua incapacità ed inadeguatezza ed allora sarà meglio che vada a casa,, Noi continueremo la nostra lotta peri diritti,, Non ci faremo fermare, né intimidire dalle provocazioni, dalle minacce, dalle denunce,
COMITATO DI LOTTA PER LA CASA,12 LUGLIO.
RETE SOCIALE DI SOSTEGNO.


ALLEGHIAMO IL TESTO del VOLANTINO che abbiamo distribuito e dovevamo leggere dal palco.

Vogliamo DENUNCIARE, CON FORZA, ai cittadini presenti,
lo SCANDALO di una AMMINISTRAZIONE COMUNALE che da 7 ANNI ha gestito la città a colpi di immagine e che, seppure, ha ridimensionato le uscite per i grandi eventi, ha lasciato incancrenire tutti i gravi problemi sociali della città.
Siamo in una città dove le emergenze sociali, sono immense, dove ogni giorno si sfiora il dramma o la tragedia, la gente è spesso spinta all’illegalità per sopravvivere, ed i diritti negati diventano favori da elemosinare alle segreterie dei politicanti di turno, dove speculatori ed affaristi, spesso legati a circuiti criminali, cercano di sfruttare i bisogni della gente, barattando favori per soldi e voti.
TUTTO CIO’ E’ INACCETTABILE !
E’ UNA INTOLLERABILE OFFESA ALLA MISERIA del POPOLO PALERMITANO, NON AVERE COSTRUITO NESSUNA SOLUZIONE CONCRETA per IL DRAMMA dell’EMERGENZA ABITATIVA !

Diceva San Paolo che la CASA è il PANE per i poveri….!
E Palermo ha un tasso di povertà che sfiora il trenta per cento,, ciò significa che trenta nostri fratelli e sorelle su cento, uomini, donne, giovani, vecchi, bambini, devono faticare per sopravvivere in maniera appena accettabile….,
CONTINUIAMO LA LOTTA per IL DIRITTO alla CASA e per i DIRITTI SOCIALI.
Protestiamo e protesteremo contro la mancanza di risposte concrete da parte dell’amministrazione comunale sull’emergenza abitativa a Palermo.
L’amministrazione comunale, ma anche la Prefettura di Palermo, hanno riconosciuto lo stato di emergenza abitativa, tanto che è stata approvata e varata una lista d’emergenza abitativa, dove sono presenti oltre 200 famiglie…
DENUNCIAMO ALL’OPINIONE PUBBLICA l’enorme ritardo e la lentezza con cui si affrontano i problemi sociali più brucianti.
L’obiettivo è di far stancare ed esasperare le famiglie, dividendole ed indebolendole.
MA NON RIUSCIRANNO A STANCARCI. NESSUNO PUO’ ACCUSARCI DI LEGGEREZZA e di MANCANZA di RESPONSABILITA’, attueremo tutte le forme di lotta e di mobilitazione popolare per il diritto alla casa e di tutti i diritti sociali fondamentali.

sabato 12 luglio 2008

L'indiano schiavo in Padania ucciso dalla fatica

12/7/2008 (8:26) - REPORTAGE
L'indiano schiavo in Padania ucciso dalla fatica
Un gruppo di sikh nella Pianura Padana

I datori di lavoro indagati: omicidio volontario

FRANCESCO SPINI
INVIATO A VIADANA (Mantova)

Un soccorso arrivato troppo tardi, un'agonia andata avanti due ore e più sotto un sole che non dà respiro. Era clandestino, Vijay Kumar, era indiano e non doveva morire in quel campo: l'agricoltore sarebbe finito nei guai. Ci è finito lo stesso, decisamente di più.

Vijay Kumar, 44 anni, raccoglieva meloni e angurie nella breve e intensissima stagione estiva. Il 27 giugno la giornata era iniziata come tutte le altre a Viadana, nella bassa mantovana, solo il Po a dividerla dalla Brescello di Peppone e Don Camillo: sveglia all’alba e poi nei campi della contrada Salina per guadagnarsi quegli otto euro che gli davano - chissà quanti erano realmente per lui - per spaccarsi la schiena.
Finché tra le quattro e mezza e le cinque il sole e la fatica lo piegano: un infarto e Vijay crolla a terra. Ma non muore subito. Lo lasciano in mezzo al campo a rosolare, perché Vijay non doveva essere soccorso lì: lavorava in nero, sarebbe successo un macello.
Per questo ora i padroni della tenuta agricola dove Vijay lavorava - Mauro Costa e la moglie - sono accusati di omicidio volontario e omissione di soccorso.
Secondo le ricostruzioni degli inquirenti alcuni colleghi di Vijay sarebbero stati mandati a prendere una loro automobile per portare via dai loro campi quell'uomo diventato ormai troppo ingombrante. La macchina arriverà, ma solo dopo oltre due ore. I suoi colleghi - sarebbe stata presente anche la moglie di Costa - lo trasportano poco lontano, in uno spiazzo a fianco di una roggia, all'ombra del granturco che costeggia via Bordenotte. E allora, e solo allora, chiamano soccorso.
Sono quasi le otto, l'agonia di Vijay è infinita. Per primo arriva un medico di base e lo trova malmesso ma ancora vivo. Tenta di rianimarlo, fa chiamare il 118. Quando arriva l’ambulanza, però, Vijay è già morto sotto questo afoso cielo bianco della Padana riarsa. Un secondo infarto sembra gli sia stato fatale.
Chiarirà tutto l’autopsia, disposta per il 15 luglio.
I carabinieri, l’ispettorato del lavoro di Mantova e la polizia locale ricostruiscono il tutto nel corso di un blitz condotto nei giorni scorsi nell'azienda agricola: trovano 13 compagni di fatica di Viay, quattro in nero, tre senza permesso di soggiorno, altri reclutati illegalmente.
Molte reticenze, tanti «non so, non ricordo», ma qualcuno confida il trattamento riservato al compagno. Le autorità denunciano i Costa dapprima per omicidio colposo, ieri trasformato in volontario.
Chiamano in causa pure il «caporale» di turno, che qui porta il nome ottocentesco di Cooperativa Facchini Vitelliani.
Questa, guidata dal presidente Giuliano Minghetti, è accusata di somministrazione irregolare di lavoratori. Costa per il momento dovrà pagare 90 mila euro di sanzione e 200 giorni di contributi non versati.
Per ritrovare Le tracce di Vijay in questa terra «dove l’11% della forza lavoro è extracomunitario, ma mai era accaduta una cosa del genere, siamo sconvolti», come dice il sindaco Pd Giovanni Pavesi, bisogna spostarsi solo qualche chilometro da dove è morto, alla frazione Cavallara, in via Bugno.
Lì gli italiani fan finta di non averlo mai né visto né conosciuto; al contrario Memipal, connazionale indiano di 28 anni («Ma io lavoro in fabbrica»), se lo ricorda bene. «Viveva in quella casa là con suo fratello Baljit, che avrà quarant'anni e che adesso è in India, è partito prima che succedesse la tragedia».
Ora Baljit dovrà trovare le parole giuste per spiegare la morte di Vijay alla vedova che con i due figli era sempre rimasta a Begampur, nella regione del Punjab da dove era partito il sogno di Vijay.
Al campanello di questa casa isolata al limitare di un bosco di pioppi non risponde nessuno. È mezza diroccata, ha molte finestre murate. In mezzo allo squallore, dal tetto, spuntano due antenne paraboliche per restare collegati con casa, con l'India.
Alla cascina dei Costa, tutto tace. Restano i carretti carichi di angurie, un'Audi parcheggiata sotto le volte. Mauro non c'è, sua moglie neppure. C'è la figlia che la prende male: «Non dico niente. State ingigantendo tutto, state solo sputtanando mio padre».
Cala la sera su Viadana e su Salina. Sfrecciano le biciclette degli indiani e di qualche turista. Sul luogo della morte di Vijay, nemmeno un fiore.

mercoledì 2 luglio 2008

Intervento di Marco Travaglio

Buongiorno a tutti. Oggi siamo in trasferta a Milano, perché stiamo finendo un libro sulle leggi vergogna e sul regime che ci si sta apparecchiando davanti. E quindi vi invito tutti quanti a seguire sul blog di Beppe, sul blog di Micromega, sul blog Voglioscendere gli aggiornamenti e le novità sulla grande manifestazione che si terrà a Roma. Le adesioni sono talmente tante che è stata spostata da piazza del Pantheon a piazza Navona. 8 luglio, ore 18.00, tutti a Roma.

Detto questo, parliamo di una delle ragioni fondamentali per le quali non è solo opportuno, ma giusto e doveroso scendere in piazza per far sentire la propria voce. Ed è il cosiddetto lodo Alfano, o lodo Schifani bis, o comunque lodo Berlusconi – non si sbaglia mai.
È un lodo che potrebbe essere chiamato lodo Orwell; lodo “Fattoria degli animali”. Ricordate forse che nella “Fattoria degli animali” c’era una specie di animali più uguali degli altri. Erano i maiali. Noi avremo, quando e se sarà sulla Gazzetta Ufficiale il lodo Alfano/Berlusconi/Schifani bis, quattro cittadini italiani che saranno più uguali degli altri. E saranno il presidente della Repubblica – che non l’ha mai chiesto - , il presidente della Camera – che peraltro non l’ha mai chiesto -, il presidente del Senato – che non si sa bene se l’abbia chiesto, ma è lo stesso che aveva dato il nome al lodo numero uno, Schifani – e poi soprattutto abbiamo quello che lo chiede da secoli e cioè il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. Il quale ha tanti processi quanti ne bastano per tutte le alte cariche dello Stato, cioè quattro. Non vuole essere processato. Sono fatti suoi. Ci doveva pensare prima, quando si è candidato da imputato. Se uno si candida da imputato, è ovvio che quando viene eletto rischia anche che arrivi una sentenza. E una volta su due può essere una condanna. Dice: “ma mi hanno votato”. “Sappiamo che ti hanno votato. Ma ti hanno votato pensando che ti saresti fatto processare”. Altrimenti bisogna dire in campagna elettorale: “votatemi, perché così non mi processerà più nessuno. Votatemi perché, io la intenderò come una assoluzione”. In realtà votare uno vuol dire “vai a governare e occupati dei nostri problemi”, non vuol dire “vai a governare e occupati dei cazzi tuoi”. Così invece lui la interpreta, all’insaputa dei suoi elettori e anche dei suoi [colleghi]. Il lodo, dunque, è la riedizione – riveduta e corretta, o corrotta – del lodo Schifani del 2003. Schifani, in realtà Schifani-Maccanico, perché la sinistra aveva prestato allora un consulente al centro-destra: Antonio Meccanico, che è sempre a disposizione quando si tratta di fare favori a Berlusconi. Aveva escogitato questa formula per la quale le cinque alte cariche dello Stato, all’epoca c’era anche il presidente della Corte Costituzionale, che non ne aveva bisogno, non rispondono dei loro delitti. Né quelli legati alla funzione, né quelli estranei alla funzione, né quelli commessi durante il mandato, né quelli commessi prima del mandato, fino al termine del mandato. Diceva il lodo Maccanico/Schifani che se uno poi cambia funzione passando dall’una all’altra di quelle cinque poltrone senza mettere mai i piedi per terra, praticamente rimane invulnerabile, finché non mette piede a terra. E quindi, se uno passa dalla Presidenza del Consiglio alla Presidenza della Camera, dalla Presidenza della Camera alla Presidenza del Senato, dalla Presidenza del Senato alla Presidenza della Corte Costituzionale, dalla Presidenza della Corte Costituzionale alla Presidenza della Repubblica, praticamente ha una trentina d’anni di immunità. E se ne ha già settanta, diciamo che arriva oltre i cento.
Quel lodo durò sei mesi, serviva a Berlusconi a sospendere i suoi processi durante i sei mesi della presidenza italiana dell’Unione Europea. Ricordate quel meraviglioso semestre aperto da Berlusconi con in discorso del kapò, dove esordì al Parlamento Europeo presentando il suo biglietto da visita dando del nazista a un socialdemocratico tedesco. Che è notoriamente antifascista, a differenza di Berlusconi che è invece alleato con i fascisti e i nazisti che ci sono per le strade.
Passati i sei mesi intervenne la Corte Costituzionale che fulminò il lodo Maccanico Schifani in quanto violava una serie di articoli della Costituzione. Ciampi non se ne era accorto. Infatti lo aveva firmato e fece una brutta figura. Ed espose a una brutta figura anche l’istituzione che rappresentava, la Presidenza della Repubblica, che dovrebbe essere garante della Nazione.
Ora, la situazione rischia di ripetersi tale e quale con Napolitano, se Napolitano firmerà questo lodo. Che secondo tutti i giuristi e costituzionalisti è incostituzionale e quindi è ad alto rischio di una bocciatura della Consulta. Se il Capo dello Stato lo firma e la Consulta lo smentisce, non è una bella figura per il Capo dello Stato. Speriamo che cominci a non firmare qualcosa.
Perché non è legittimo questo lodo? Intanto perché c’è un problema sul quale non c’è tanto da discutere. O è così, o è così. È l’articolo tre della Costituzione della Repubblica Italiana. Che recita: “Tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge, senza distinzione di sesso, razza, religione … condizione di vita personale e sociale”. Cioè non importa quello che fai, il mestiere che fai, la carica che ricopri. Davanti alla legge sei uguale a tutti gli altri. Questo dice l’articolo tre della Costituzione. Il lodo cosa fa? Non tocca l’articolo tre. Anzi, non tocca nemmeno la Costituzione. È una legge ordinaria. Scritta dal Consiglio dei Ministri. Cioè scritta da Berlusconi e dai suoi avvocati, ovviamente. Fatta firmare dal ministro Alfano, che firma tutto e che ci mette anche la faccia. Tanto l’avete vista la faccia che ha. Una legge ordinaria che pretende di derogare a principi della Costituzione. Per giunta ispirata a una legge già bocciata anche quella dalla Corte Costituzionale. Voi vi rendete conto che siamo completamente fuori da qualunque ambito. Se vuoi modificare la Costituzione, segui la Costituzione che ti insegna ciò che devi fare per modificare la Costituzione. L’art. 138 dice che ci vuole la maggioranza dei due terzi del Parlamento, altrimenti i cittadini, prima che vada in vigore la riforma costituzionale, devono essere chiamati al referendum confermativo. Non c’è il quorum. Quindi anche se andiamo a votare in tre e due votano no, la legge costituzionale che non ha avuto i due terzi del Parlamento non passa. A meno che, appunto, non si abbia una maggioranza talmente ampia, di due terzi del Parlamento, nel qual caso i cittadini non vengono chiamati ad approvarla. È quello che è successo con la legge sul federalismo, la devolution di Bossi, che abbiamo bocciato due anni fa nel referendum confermativo e quindi non è entrata in vigore. Se non c’è questa ampia maggioranza, il Parlamento deve fare comunque doppia lettura – Camera/Senato, Camera/Senato – ma si va al referendum confermativo. Questi non lo vogliono fare. Forse nemmeno il Partito Democratico, pur ridotto come lo vediamo, sarebbe disposto a dare i suoi voti al lodo. Magari avrebbero molta voglia di farla, alcuni, una porcata del genere, ma hanno paura dei loro elettori. Almeno di quelli che gli sono rimasti temendo che vadano tutti con Di Pietro, cosa che sta avvenendo almeno in parte.

Quindi i due terzi in Parlamento non li ottengono per il lodo, per una legge costituzionale. E allora fanno una legge ordinaria. Presentata al Consiglio dei Ministri e poi approvata probabilmente entro luglio/agosto oppure ai primi di settembre, tanto non c’è fretta perché il processo più prossimo alla conclusione, cioè il processo Mills lo hanno sospeso con la legge blocca processi. Quindi per un anno non si parlerà della sentenza. E intanto loro fanno il lodo, con legge ordinaria, per modificare i principi della Costituzione. Questa è la principale ragione per cui questo lodo è incostituzionale. Quattro persone dichiarata più uguali degli altri con una legge ordinaria. A maggioranza semplice. Ma poi non c’è solo questo, perché questi analfabeti dicono: “ah ma noi questa volta il lodo lo abbiamo fatto rispettando ciò che la Corte Costituzionale ha detto bocciando l’altro”. Non l’hanno letta forse la sentenza della Corte Costituzionale del 2004, perché dice esattamente il contrario di ciò che dicono loro nel nuovo lodo. Quali sono le differenze tra il lodo Alfano di oggi e il lodo Schifani del 2003? Pochissime. La prima è che sospende tutti i processi e le indagini a carico di quattro alte cariche, anziché cinque: Capo dello Stato, capo del Governo, presidenti di Camera e Senato. Secondo, e questa è la differenza più importante. Non è reiterabile per due legislature. Vale solo per una legislatura. All’interno di una legislatura, se cade il governo e tu rifai il presidente del Consiglio, mantieni l’immunità anche due volte, ma sempre all’interno della legislatura. Se nella legislatura muore il presidente della Repubblica, o sta male, o si dimette, o succede qualcosa e il presidente del Consiglio diventa presidente della Repubblica, mantiene, si porta dietro l’immunità, anche se la carica è diversa, perché tutto avviene nella legislatura. Nella prossima, se Berlusconi dovesse pensare di diventare presidente della Repubblica nella prossima legislatura, lì, secondo questo lodo, non potrebbe essere impunito. Ma naturalmente cosa farebbe? Se diventa presidente della Repubblica è perché la maggioranza del Parlamento è sempre la sua. Ma se la maggioranza del Parlamento è sempre la sua, fa un emendamento al lodo e gli proroga l’immunità per tutta la durata della carica. Cambiano le regole in corso d’opera. Sarebbe mica la prima volta. In ogni caso, ora come ora non lo potrebbe fare. È questo è l’unico aspetto positivo. Per il resto non vengono rispettate nessuna delle condizioni che aveva posto la Corte Costituzionale. Perché aveva detto intanto che non si può fare un fritto misto delle cariche mettendole tutte nell’impunità. Il presidente della Repubblica è una carica monocratica che rappresenta tutta la Nazione, i presidenti delle camere sono cariche collegiali, nel senso che rappresentano un’assemblea. Il presidente del Consiglio rappresenta un consiglio dei Ministri. Che differenza c’è tra il presidente del Consiglio e gli altri ministri? Che differenza c’è tra il presidente della Camera e gli altri deputati? Che differenza c’è tra il presidente del Senato e gli altri senatori? Allora tanto varrebbe avere il coraggio, ma non ce l’hanno perché hanno paura della furia popolare contro la casta, di ripristinare l’autorizzazione a procedere per tutto il Parlamento. Si prendano la responsabilità di dire: “noi prendiamo mille persone, le mettiamo lì dentro. Possono fare quello che vogliono e anche se ammazzano la suocera non gli succede niente”. Non hanno il coraggio di farlo, perché? Perché Berlusconi la vuole per sé l’immunità e ci mette altre tre cariche per confondere un po’ le idee.
Sarebbe molto meno incostituzionale ripristinare l’articolo 68 come pensato dai padri costituenti. Naturalmente, i padri costituenti, l’articolo 68 che concedeva l’immunità parlamentare non l’avevano concepito per proteggere i potenti dalle conseguenze dei loro reati penali, dei loro delitti comuni. L’avevano concepito per proteggere eventuali politici di opposizione che facessero scioperi, occupazione delle terre, blocchi stradali, interruzioni di treni per fare delle manifestazioni protesta, manifestazioni sindacali, contadine, picchettaggi, manifestazioni operaie. In quei casi a uno può scappare una parola o un gesto di troppo, metti che trovi un giudice troppo legato al potere o al governo che usa queste accuse per reati politici, di opinione, per colpire un esponente dell’opposizione ecco che i Costituenti, temendo una magistratura, come ai tempi del fascismo, molto collegata con il potere, hanno dato questa tutela ai politici delle minoranze per poter esercitare al massimo l’opposizione al potere costituito. Questo era lo spirito dell’autorizzazione a procedere. L’avevano trasformato, nel corso degli anni, in un salvacondotto, in un’autorizzazione a delinquere non in un’autorizzazione a procedere. Per cui chi stava in Parlamento poteva rubare, mafiare, truffare, violentare, fare quello che voleva e il Parlamento lo copriva. Per questo fu abolito nel ’93: gli stessi politici, sputtanati dallo scandalo di Tangentopoli, tentavano di recuperare un minimo di credibilità spogliandosi di uno dei più vergognosi privilegi che si erano assunti abusando di quell’autorizzazione a procedere diventata una automatica immunità, mentre non era così. Nella Costituzione c’era scritto che solo in caso di una dimostrata persecuzione politica si poteva dire di no. E’ ovvio che la persecuzione politica poteva riguardare solo reati politici, di opinione, ideali non certamente uno che ha messo le mani in tasca a un altro. Quello con la politica non c’entra niente. Non hanno il coraggio di ripristinare l’articolo 68 perché salverebbe tutta la casta. Vogliono salvare solo Berlusconi, quindi fanno una legge ordinaria che proprio perché ordinaria non è costituzionale. Diventa incostituzionale perché dice il contrario della Costituzione, a meno di non stabilire che fra il lodo Alfano-Schifani-Maccanico-Berlusconi e la Costituzione quella incostituzionale è proprio la Costituzione. Prima o poi ce lo racconteranno, ne stanno dicendo di tutti i colori. L’unica differenza rispetto al lodo già bocciato è che questa volta vale per una sola legislatura ed è rinunciabile, nel senso che se io, Capo dello Stato, vengo accusato da Berlusconi di essere un molestatore sessuale, ne ha dette di tutti i colori e potrebbe aggiungere pure quella, parte un’indagine e viene bloccata in base al lodo per tutta la durata del Presidente della Repubblica, quello potrebbe dire: “dato che io non sono un molestatore voglio immediatamente essere giudicato e assolto, perché quello se l’è inventato!”. Invece, prima te la dovevi prendere per sette anni la sospensione del processo, anche se non volevi. Adesso, invece, è rinunciabile tanto Berlusconi non rinuncia. Che costa mettere “è rinunciabile”? Per il resto non ci sono differenze e ci sono tutte le ragioni per le quali la Corte ha già bocciato una volta il lodo. Per esempio: diceva che il lodo non può essere generale nel senso che non può sospendere i processi per tutti i reati. Vediamo. La Corte diceva “non si possono sospendere i processi per i reati commessi in qualunque epoca sia extra funzionali – cioè estranee alle attività politiche e istituzionali – sia funzionali – cioè collegati”. Se io ho fatto una legge, assunto una persona, assegnato un appalto e mi viene contestato, quello è un possibile delitto funzionale legato alla mia attività politica. Può avere un senso che mentre io ricopro la mia funzione politica, per i miei atti politici non venga chiamato a rispondere finché non ho finito la carica. Ma se io in passato ho rapinato una banca e lo si viene a sapere quando sono Presidente del Consiglio… beh quello non è funzionale perché non c’entra niente con l’attività politica rapinare le banche, pare. Se io addirittura ho un processo per avere rapinato una banca e, dopo il mio rinvio a giudizio per rapina in banca, mi candido alla presidenza del Consiglio divento Presidente del Consiglio, questo è ancora più assurdo. Poi non mi posso meravigliare, quando lo sono diventato, che il processo vada avanti e che alla fine mi possano condannare per la rapina in banca! Sono fatti miei privati che per giunta conoscevo prima. Che c’entra la politica, la funzione, l’Istituzione? Questo diceva la Corte e su questo non si fa nessun riferimento. Perché? Perché Berlusconi è stato rinviato a giudizio per corruzione del teste Mills e si è chiesto il suo rinvio a giudizio per corruzione di Saccà prima che diventasse Presidente del Consiglio, non dopo! Non è un agguato che gli capita perché è diventato capo del governo, è lui che è diventato capo del governo dopo essere stato imputato. Secondo, sono due fatti suoi privati: le ragazzine di Rai Fiction, a tutti piacciono le ragazzine ovviamente, saranno fatti suoi purchè non le faccia pagare dalla Rai cioè da noi con il Canone, ma non c’entrano niente con la posizione di Presidente del Consiglio o capo dell’opposizione. Sono fatti privati, esattamente come sono fatti privati gli impicci di Mediaset con il suo consulente Mills, le false testimonianze, i soldi che sono stati dati a Mills. Sono fatti privati precedenti alla carica. E su questo non si fa distinzione. C’è un costituzionalista, bravissimo, Michele Ainis, che dice: “ma qui se il Capo dello Stato impazzisce e ammazza la suocera o la moglie, noi non lo possiamo più schiodare di lì per sette anni, perché il processo non si fa e nello stesso tempo non c’è nessun modo per mandarlo via di lì, se non se ne va lui spontaneamente”. Metti che un presidente della Camera o del Senato con la macchina arrota un pedone sulle strisce. I familiari avranno pure diritto ad avere giustizia, devono aspettare che finisca la carica? Che legame c’è fra il fatto che uno è presidente del Senato o della Camera e il fatto che ha steso una persona con la macchina perché è un pirata della strada o perché si era distratto o aveva bevuto? Dice: ma le vittime si potranno rivalere in sede civile. Certo, ti ammazzano un parente e tu vai da un giudice civile a chiedere qualche euro di danni. E il penale non si fa o si farà? E quando si farà? L’altro è l’automatismo: non c’è qualcuno che vaglia le accuse, che dice “per questo caso lo rendiamo immune, per quest’altro no perché non c’entra niente con la politica”. E’ tutto automatico. E questo automatismo non prevede filtri dell’ammissibilità o meno della richiesta di sospendere, anzi non prevede nemmeno la richiesta di sospendere perché sospende i processi senza che tu lo chieda a meno che non rinunci. E questo la Corte Costituzionale lo chiedeva. Ecco un’altra ragione per cui questa norma è incostituzionale. E poi c’è comunque, alla fine, il diritto delle vittime ad avere giustizia subito, come tutte le altre. Non tu sei vittima di serie B perché hai avuto la sfortuna di subire un reato da un’altra carica o da uno che poi è diventato un’altra carica. Il principio di ragionevole durata del processo è stato messo nella Costituzione all’articolo 111, poi questi già durano un’eternità e tu li allunghi ancora di cinque anni per il capo del governo e i presidenti delle camere, per sette per il Presidente della Repubblica e quando li fai? Dov’è la ragionevole durata, se li rinvii di cinque o sette anni? E se la vittima nel frattempo muore? Non le avrai dato giustizia. E’ ragionevole durata? Infine, l’eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge anche in qualità di imputati. Se io sono imputato voglio essere giudicato esattamente come l’imputato Presidente del Consiglio. Anzi, per la verità io pretenderei che il Presidente del Consiglio fosse più controllato e che ci fossero degli strumenti più severi e stringenti nei suoi confronti perché lui deve dare il buon esempio, è lui che fa le leggi. Non io privato cittadino. Invece, paradossalmente, Di Pietro gli ha dato del “magnaccia”, termine tra l’altro tecnicamente ineccepibile: quando uno gestisce ragazze facendole pagare, dalla Rai tra l’altro cioè dagli italiani… vogliamo chiamarlo “prosseneta”, “pappone”, “lenone”? Quando Di Pietro, tecnicamente corretto anche se con un termine un po’ demodé della Roma anni Sessanta, ha definito le attività, con quelle che il Cavaliere chiama elegantemente “le mie fanciulle” per distinguerle dalle “mie bambine” che sono invece le ministre, da “magnaccia” succede il finimondo. L’avvocato Ghedini annuncia che Berlusconi querela Di Pietro. Se, però, Di Pietro vuole querelare Berlusconi lo può fare ma il processo no si fa perché Berlusconi è immune. C’è addirittura un signore che usa i tribunali per trascinarci gli altri e quando gli altri vogliono trascinarci lui non si può! A me ha fatto causa civile Schifani, se io volessi denunciare Schifani non potrò, perché c’è uno che è immune con uno scudo spaziale che lo avvolge per la durata del suo incarico che se la prende con me, privato cittadino, che non ho più gli stessi diritti che ha lui nei miei confronti, quindi non lo posso in tribunale penale a rispondere delle infamie che dice in questo atto di citazione nei miei confronti. Questo è il punto fondamentale. Naturalmente ci stanno raccontando che in tutto il mondo c’è già il lodo Schifani, il lodo Alfano, il lodo Berlusconi. Non esiste Paese al mondo dove il Presidente del Consiglio, primo ministro o premier, chiamiamolo come vogliamo, abbia l’immunità. L’immunità è prevista per i sovrani, la Regina d’Inghilterra e il re di Spagna, per il Capo dello Stato in Francia e non per legge ma per interpretazione. E riguarda Chirac che era accusato di fare assunzioni fittizie al comune di Parigi quando era sindaco ed è stato raggiunto da questo processo quando già era Presidente della Repubblica. Si è sospeso e adesso lo processano, ché è uscito dall’Eliseo. Reato funzionale, collegato alla carica che esercitava di sindaco di Parigi, processo nato dopo l’elezione. Se fosse nato prima non l’avrebbero certamente candidato alla presidenza della Repubblica ben sapendo che dopo avrebbe potuto essere processato e condannato. Stiamo parlando di situazioni completamente diverse. In ogni caso Chirac è il Capo dello Stato e non il primo ministro. Il primo ministro non è immune in nessuna parte del mondo, anzi in Francia il primo ministro e gli altri ministri non possono essere parlamentari, quindi possono essere pure arrestati perché non hanno nemmeno l’immunità dall’arresto che hanno i parlamentari. Pensate le balle che vi raccontano. Ci sono Capi di Stato che vengono processati e stanno pure zitti, tipo Clinton che ha subito sette indagini e tre processi. Tipo Nixon, che ha subito un’indagine e si è dimesso, tipo Reagan, che ha subito tre indagini. Il presidente della repubblica di Israele, Katzav, presidente di una repubblica che è in guerra da quando è nata, si è dimesso l’anno scorso perché indagato per molestie sessuali ai danni di alcune dipendenti del suo ufficio, di alcune segretarie. E oggi si sta parlando anche delle possibili dimissioni, che forse avverranno dopo l’estate, del primo ministro Olmert, di un paese in guerra come Israele, coinvolto in un caso di fondi illeciti al partito. Ecco, lì, per evitare processi e condanne di un’alta carica dello Stato, risolvono il problema alla radice: se sei imputato non ti candidi; se vieni imputato dopo che sei stato eletto, ti dimetti. Da noi, invece, se sei stato imputato prima di venire eletto, ti candidi lo stesso, se vieni imputato dopo che sei stato eletto, abolisci i tuoi processi e poi dici anche che è colpa dei giudici.
Come dice sempre quel vecchio detto catalano: ci pisciano addosso e ci raccontano che sta piovendo.
Passate parola. Ci vediamo l’otto luglio in piazza Navona, a Roma alle ore 18.00, contro il regime delle leggi vergogna.

lunedì 30 giugno 2008

Carta Regionale



CARTA REGIONALE
Un’altra Storia - Sicilia
2



Un’altra Storia


Una carta regionale per la SICILIA


L’idea di una profonda riforma dei contenuti e dei metodi della politica nel
nostro Paese non è solo patrimonio di avanguardie, più o meno illuminate,
ma vive ormai delle percezioni di ampi strati sociali.
La dimensione nazionale di questo processo, forse ancora abbastanza
latente ma probabilmente inesorabile, si rende necessaria in una fase in
cui molti principi dell’Unità nazionale, sanciti nella nostra Carta
Costituzionale, vengono messi pesantemente in discussione. Del pari, il
valore aggiunto al quadro nazionale dato delle esperienze delle Autonomie
Locali spesso viene ridotto a un ammasso indistinto di istanze egoistiche
che piuttosto che mettere a valore le diversità, in ambito nazionale ed
internazionale, tendono ad arrestare processi d’integrazione sociale,
economica e culturale, oggi più che mai decisivi per lo sviluppo civile e
democratico di qualsiasi Paese. Per questo, e per tanto altro, non è
possibile lasciare il tema delle Autonomie locali, spesso inglobato in
generiche costruzioni definiti federalismo, a chi persegue politiche di
disgregazione che accentuano una competitività basata su valori egoistici
e contrapposti.
L’Altra Storia di Rita Borsellino, e delle tante donne e dei tanti uomini che
operano per un reale cambiamento, vuole valorizzare l’apporto dei territori
e delle Regioni all’interno di quel quadro nazionale, valoriale ed
istituzionale, che ci hanno consegnato i Padri Costituenti dopo la
liberazione dal nazi-fascismo.
Tuttavia, non si tratta solo di pensare un apporto di tipo istituzionale,
peraltro complessivamente mancato in tanti anni di Autonomia Speciale
della Regione Siciliana che ha prodotto risultati spesso oscillanti tra un
incoerente rivendicazionismo economico, finalizzato al finanziamento di
3
strumenti di consenso attraverso politiche clientelari, e la sostanziale
accondiscendenza a sistemi politico-affaristici e mafiosi.
L’idea guida dell’Altra Storia siciliana prevede l’irrompere nello spazio della
politica dei cittadini, delle cittadine e delle persone che vivono il territorio
dell’Isola attraverso un sistema diffuso di partecipazione di base finalizzato
all’elaborazione di politiche nuove e ad un costante e diffuso controllo
democratico su gli atti di tutti i livelli di Governo.
L’idea originaria dei Cantieri del programma regionale di Rita Borsellino
con questa nostra Carta va attualizzata e sistematizzata in un suo preciso
modello che determini un processo partecipativo che non sia mera
enunciazione teorica, ma una pratica politica reale e costante.
In questo senso, non si può non partire dalla consapevolezza di
rappresentare la Sicilia, ossia il territorio e il tessuto sociale dove l’Altra
Storia è stata concepita e ha fatto le sue prime esperienze di
programmazione e d’intervento nelle Istituzioni.
Va rinnovato, quindi, un grande processo di assunzione di responsabilità
collettiva di tanti uomini e donne che credono profondamente in se stessi
e nelle loro capacità d’innescare il cambiamento per destabilizzare
l’assurda equazione tra un presunto bene della Sicilia e l’occultamento
degli enormi problemi sociali, quali quello decisivo riguardante la presenza
sul territorio di un diffuso sistema mafioso origine, oltre che di immani
sofferenze per tantissimi siciliani, di tanti ritardi dell’Isola sul piano
sociale, economico e politico.
Il modello del movimento dell’Altra Storia vuole essere solo uno
strumento, agile ma impegnativo, per favorire il confronto attraverso la
conoscenza diffusa e la socializzazione dei problemi, rendere in positivo le
diversità delle opinioni, facilitare le sintesi necessarie per arrivare a delle
scelte democraticamente condivise.
Il resto, come sempre, lo potranno fare le donne e gli uomini che
aderiranno all’Altra Storia con la loro passione, la loro intelligenza e il loro
coraggio.
4
Un’altra Storia
Il modello organizzativo
Il modello organizzativo di Un’altra Storia Sicilia si pone in coerenza con
quanto sperimentato dalla sua costituzione e, in particolare, con la costruzione
del Programma Partecipato1. L’obbiettivo è quello di determinare condizioni di
“orizzontalità” tali da favorire nel concreto la massima e libera espressione
delle diverse soggettività aderenti e valorizzare appieno la molteplicità e la
pluralità che rappresentano senz’altro elementi forti in un itinerario di reale
cambiamento. La relazione, l’interazione, la reciprocità, insieme alla capacità di
ridare senso e valore alla gratuità e al piacere del servizio sono ”ingredienti”
indispensabili per attuare una vera riforma della politica e ridare
l’indispensabile speranza all’agire quotidiano mirato alla costruzione della
società di giustizia. Il modello va considerato in maniera dinamica, nel senso
che non è fisso ed immutabile, ma anch’esso sarà frutto di quanto si svilupperà
e radicherà e quindi oggetto di cambiamenti, conseguenti e coerenti.
1 Per Programma Partecipato s’intende il programma elettorale elaborato per la candidatura
di Rita Borsellino alla Presidenza delle Regione Siciliana nel 2006. E’ da notare che la sua
stesura ha visto la sperimentazione di un modello partecipato (I Cantieri per il programma)
mediante il contributo di circa 15.000 siciliani in una commistione fra rappresentanti dei partiti
de l’Unione e società civile organizzata e non.
5
* CANTIERI
MUNICIPALI
(ì)
* CANTIERI
TEMATICI
REGIONALI
(ììì)
* CANTIERI
TERRITORIALI
(ìì)
SOGGETTI
COLLETTIVI
A VALENZA
REGIONALE
FORUM
GIOVANI
LA RÆGIONE
DELLE DONNE
FORUM DEGLI
AMMINISTRATORI
LOCALI
GRUPPO DI
SERVIZIO
REGIONALE
DEL
PROGETTO
(I) TAVOLO
DEI
CANTIERI
TEMATICI
REGIONALI
* CANTIERI
MUNICIPALI (ì)
* CANTIERI
TEMATICI
REGIONALI
(ììì)
* CANTIERI
TERRITORIALI
(ìì)
SOGGETTI
COLLETTIVI
A VALENZA
REGIONALE
GRUPPO DI
SERVIZIO
REGIONALE
DEL PROGETTO
(I) TAVOLO
DEI
CANTIERI
TEMATICI
REGIONALI
SOCIETÀ SOCIETÀ
SOCIETÀ SOCIETÀ
6
* I CANTIERI DI Un’altra Storia.
I Cantieri rappresentano i luoghi della partecipazione e gli strumenti attraverso
cui si ridà centralità al presupposto partecipativo nella democrazia, asse portante
del progetto “Un’altra Storia”.
I Cantieri si articolano in:
- Municipali, a dimensione comunale.
- Territoriali, riferiti a zone con vocazione omogenea.
- Regionali, Cantieri Tematici.
ì. I CANTIERI MUNICIPALI.
Sono i luoghi in cui si pratica la democrazia partecipativa. Operano su
dimensione comunale e affrontano tematiche a carattere locale, territoriale e
regionale.
Assolvono alla funzione di Cantiere di comunità promuovendo in essa azioni di
mutualità. Ai Cantieri municipali partecipano le cittadine ed i cittadini che si
riconoscono nel progetto Un’altra Storia.
Sono animati e coordinati da Gruppi di servizio individuati dal Cantiere stesso e
al loro interno nominano due referenti -un uomo ed una donna- che ne
rappresentano le istanze.
I due referenti sono componenti dell’assemblea regionale di un’altra storia.
Per le grandi città metropolitane (Palermo, Catania, Messina) i Cantieri
municipali corrispondono alle circoscrizioni municipali.
Designano 4 delegati al Cantiere territoriale.
ìì. I CANTIERI TERRITORIALI.
Definiscono le idee forza di sviluppo locale riferite a territori a vocazione
omogenea e garantire che esso rappresenti un’effettiva crescita qualitativa di
quei territori e delle loro comunità.
Sono formati dai delegati dei cantieri comunali e da 2 rappresentanti per ogni
soggetto collettivo aderente al progetto e operante in quel territorio.
Sono animati dai Gruppi di servizio individuati dal Cantiere stesso e al loro
interno nominano due referenti referenti -un uomo ed una donna- che ne
rappresentano le istanze.
I due referenti sono componenti dell’assemblea regionale di un’altra storia.
Designano il/la referente componente il Consiglio regionale di Un’altra Storia.
7
ììì. I CANTIERI TEMATICI REGIONALI.
Assolvono alle funzioni di osservatorio delle attività del Governo e del
parlamento regionale e di elaborazione e proposte con riferimento ai campi
d’intervento dell’Ente Regione. Agiscono in rapporto interattivo con i Cantieri
Municipali e Territoriali cui garantiscono supporto in termini di competenze ed
esperienze.
Sono organizzati su base tematica. Ad essi partecipano esperti di settore,
operatori, organizzazioni sociali e quanti interessati. Sono coordinati da un
gruppo di servizio individuato dal Cantiere stesso. Al loro interno nominano due
referenti per area tematica che fanno parte del TAVOLO DEI CANTIERI TEMATICI
REGIONALI. Ogni cantiere designa un referente per il Consiglio Regionale
(I) TAVOLO DEI CANTIERI TEMATICI REGIONALI.
E’ formato da due referenti per Cantiere tematico regionale e serve innanzitutto
a dare organicità al lavoro dei cantieri tematici.
Il Tavolo si dota di un gruppo di servizio. In seno al Tavolo viene eletto un
coordinatore che è componente del Consiglio regionale.
(a) ASSEMBLEA REGIONALE DI Un’altra Storia.
COMPOSIZIONE, DURATA, CONVOCAZIONE
L’Assemblea regionale è composta da:
due referenti per Cantiere municipale,
da due referenti per Cantiere territoriale,
da due referenti per forum,
da un referente per area tematica del Tavolo dei Cantieri tematici regionali,
da due referenti per Soggetto collettivo di dimensione regionale aderente,
da componenti del consiglio regionale non compresi tra i soggetti sopraindicati.
L’Assemblea rimane in carica tre anni, viene convocata almeno una volta l’anno
per la verifica e la programmazione dell’attività.
L’Assemblea è convocata per iniziativa del Gruppo di servizio del progetto, può
essere convocata altresì su istanza di 1/3 dei Cantieri municipali attivi sul
territorio regionale.
La convocazione dell’Assemblea dovrà pervenire ai componenti almeno sei giorni
prima dalla data stabilita e può avvenire a mezzo di posta, e-mail o fax.
8
DECISIONI
Le decisioni all’interno dell’Assemblea avvengono per votazione. In I°
convocazione le decisioni sono assunte con la metà dei votanti più uno. In II°
convocazione con la maggioranza dei presenti.
I Componenti possono proporre modifiche o integrazioni all’ordine del giorno che
dovranno essere approvate dall’Assemblea regionale di Un’altra Storia.
COMPITI
L’Assemblea regionale definisce le linee programmatiche e verifica l’attività
svolta.
L’Assemblea è tenuta a cooptare i referenti dei Cantieri municipali che vengono
formalizzati dopo l’insediamento dell’Assemblea.
L’Assemblea elegge i propri rappresentanti nel Consiglio regionale in numero
fissato dall’Assemblea stessa non superiore a 10.
SOSTITUZIONI DEI COMPONENTI
L’Assemblea può procedere alla sostituzione dei propri componenti, qualora
questi si trovino nell’impossibilità di assolvere i loro compiti.
(b) CONSIGLIO REGIONALE DI Un’altra Storia.
COMPOSIZIONE, DURATA, CONVOCAZIONE
Il Consiglio regionale di Un’altra Storia è composto da:
un referente per Cantiere territoriale,
il coordinatore del Tavolo dei Cantieri tematici regionali,
un referente per soggetto collettivo di dimensione regionale aderente,
un referente per forum (Giovani, La Rægione delle donne, Amministratori locali),
dai membri eletti dall’Assemblea.
Il Consiglio rimane in carica per 3 anni dal suo insediamento.
Il Consiglio è convocato con una frequenza mensile.
DECISIONI
Le decisioni all’interno del Consiglio avvengono per votazione. In I°
convocazione le decisioni sono assunte con la metà degli aventi diritto al voto più
uno. In II° convocazione con la maggioranza dei presenti.
9
COMPITI
Una volta costituitosi, il Consiglio nomina il Gruppo di servizio regionale e al suo
interno individua un coordinatore. Il coordinatore dura in carica per 1 anno ed il
suo mandato è rinnovabile.
Il Consiglio promuove la realizzazione degli obiettivi individuati dall’Assemblea
regionale.
Il Consiglio ha la responsabilità del governo e dell’iniziativa politica di Un’altra
Storia in Sicilia.
Il Consiglio formalizza la costituzione dei Cantieri municipali, territoriali e
tematici regionali al Consiglio nazionale dell’associazione.
Il Consiglio può attivare settori, gruppi di lavoro ed individuare strumenti non
previsti dalla presente carta ma funzionali al raggiungimento degli obiettivi
dell’Associazione.
Il Consiglio approva il bilancio preventivo e consuntivo annuale.
Esercita fra i suoi compiti un ruolo di garanzia con riferimento ai valori e
contenuti del progetto associativo.
SOSTITUZIONI DEI COMPONENTI
Il Consiglio può procedere alla sostituzione dei propri componenti, qualora questi
si trovino nell’impossibilità di assolvere i loro compiti.
(1) GRUPPO DI SERVIZIO DEL PROGETTO.
Il Gruppo di servizio del progetto è nominato dal Consiglio regionale e dura in
carica tre anni.
Ha il compito di rendere esecutive le decisioni del Consiglio regionale e di
coordinare le attività dell’associazione con competenza regionale.
Il Gruppo di servizio convoca e presiede i lavori dell’Assemblea e del Consiglio
regionale.
Ha funzione di rappresentanza nei confronti di tutti i soggetti esterni
all’associazione a livello regionale.

Documento Politico

TRACCE PER IL DOCUMENTO POLITICO “UN’ALTRA STORIA”
PREMESSA
L’Italia è cambiata. Il Bel Paese dei valori, dei buoni sentimenti, della solidarietà,
dell’accoglienza, ha lasciato spazio in questi anni - e sempre più spesso- all’Italia della
paura e del bisogno, all’Italia del precariato e dell’assenza di riferimenti. Il recente
risultato elettorale non rappresenta l’inizio di qualcosa, ma il punto di arrivo di un
percorso avviato da tempo, da dopo tangentopoli.
Non si è compresa, o non lo si è compresa fino in fondo, l’importanza, la necessità di
far crescere i riferimenti positivi nella società moderna, di renderli qualcosa di vivo
attraverso il confronto e la partecipazione per elaborare insieme ai cittadini una nuova
politica dei valori, un nuovo alfabeto che fosse insieme alfabeto culturale, politico,
sociale. Che fosse, insomma, una nuova proposta per il Paese. Questa è mancata e fa
soprattutto difetto, alla Sinistra, la capacità di esserne il veicolo.
Trasformazioni, cambio di nome ai partiti, scissioni e ricomposizioni, sono state
avvertite più come processi interni, riservati a pochi, che come operazioni condivise o
cambiamenti necessari per stare al passo con un paese che diventava ogni giorno
diverso rispetto agli anni della guerra fredda e che, cambiando, perdeva lentamente di
vista - e continua a farlo ancora oggi in un processo inarrestabile- le fondamenta
dell’identità repubblicana disegnate dalla Costituzione.
Banalmente, ad una cultura politica distante ed autoreferente, la maggioranza degli
italiani ha sempre più preferito il linguaggio delle rivendicazioni personali, legate ai
propri bisogni e alle immediate paure. In altre parole, ad una cultura politica in grado di
coniugare aspirazioni individuali e trasformazioni/aspirazioni collettive, sulla base di
percorsi condivisi, si è sostituita una cultura dell’io e dell’oggi che è incapace di
rapportarsi agli altri e di sperare e comprende solo la demagogia del potere e la politica
come “amplificazione” di luoghi comuni.
Siamo al paradosso della democrazia, intesa unicamente come momento elettorale,
che consegna il potere a chi disprezza la stessa democrazia, considera eroe un
mafioso e si prefigge di eliminare la resistenza quale elemento fondante della nostra
Repubblica. Ottiene il successo chi riesce ad intercettare la protesta antipartitica, quella
che viene chiamata antipolitica e che contraddittoriamente esprime da un lato
aspirazioni ad una democrazia vera e coerente e dall’altro umori ed atteggiamenti intrisi
di populismo qualunquista e, non di rado, di autoritarismo e razzismo.
Il centrosinistra, insomma, ha perso le elezioni perché sta perdendo il Paese,
perchè non è stato in grado di rappresentare un’alternativa credibile al
berlusconismo, perché sta mancando di interpretare un modello morale e
culturale prima ancora che politico.
Per invertire questa deriva, servono chiare opzioni di fondo:
Una politica della verità, interpretata da atteggiamenti coerenti e quindi credibili. La
verità sulle condizioni di lavoro, sugli attacchi alla biosfera, sul ruolo delle mafie, sulla
violenza che si fa contenuto del tempo in cui viviamo.
Una politica della speranza, vissuta come progettazione democratica e partecipata. La
politica in cui i valori dichiarati vengono messi in atto effettivamente, producendo fiducia
reale.
Una politica che si dia gli strumenti per affrontare la questione culturale, di
un’alternativa da costruire e praticare, rispetto ad un insensato modello di sviluppo
basato sulla crescita illimitata, e la questione morale di rendere centrale la legalità
democratica, intendedola come un vero e proprio bene relazionale.
SCOPO DELL’ ASSOCIAZIONE
Davanti a questo scenario serve fermarsi e tornare a raffrontarsi con le persone. Siamo
convinti che la Sinistra – “radicale” e/o “moderata” - debba recuperare
un’identità smarrita, a partire dai valori propri assolutamente non negoziabili.
Identità non significa certezze assolute o nicchie ideologiche, piuttosto cammino
coerente di ricerca dei luoghi, dei soggetti, dei metodi della trasformazione culturale,
politica e sociale. Un cammino che abbia alla base un “nuovo umanesimo”, un
“umanesimo dell’inclusione” che riesca a costruire relazioni tra sensibilità, esperienze,
culture, promuovendo ed incarnando una politica “altra” all’interno di una società
disgregata, dove il mercato del lavoro massacra le identità collettive e le condizioni
urbane annientando i legami sociali, ostacolando fortemente la produzione di beni
relazionali.
L’associazione nazionale “Un’Altra Storia” nasce per rilanciare questa esigenza
già alla base del progetto promosso con la candidatura di Rita Borsellino a Presidente
della Regione Siciliana due anni fa e proseguito fino ad oggi in Sicilia nell’ottica unitaria
del centrosinistra. Un progetto che ha come obbiettivo la costruzione dell’alternativa
culturale e politica nel nostro Paese, nella prospettiva di una società di giustizia, dove
la politica torna ad incontrare la società e il quotidiano di ognuna/o, per ridare
identità ai corpi sociali e contribuire al senso e al significato all’esistenza.
L’ antimafia e la legalità democratica; la cultura delle differenze, della pace e della
nonviolenza; la giustizia sociale; lo sviluppo autonomo (inteso come crescita
qualitativa di territori e comunità) sostenibile sul piano sociale ed ambientale e
rispettoso delle tradizioni e dei modi di vita, dei luoghi, rappresentano, invece, i punti di
riferimento forti di coloro che si ritrovano nell’Associazione.
Per questo l’Associazione si propone come soggetto plurale FEDERATO E
FEDERATIVO, in grado di dare concretezza alle proposte e ai “sentimenti” delle realtà
locali, della base sociale e politica così troppo spesso dimenticata dai partiti e dai
programmi elaborati in questi ultimi anni.
LE CARATTERISTICHE DEL MOVIMENTO
Un movimento della partecipazione come metodo e strumento per l’azione di
governo
Devono essere colte le istanze e i fermenti che si muovono nella società reale e che
vanno valorizzati e veicolati attraverso strumenti di partecipazione diretta. Il movimento
deve organizzare luoghi veri di confronto, in cui i vari livelli di governo si avvicinino
realmente alla gente, non sulla base di spinte clientelari e populistiche, ma costruendo
programmi e istanze collettive.
Un movimento che non sfugge alle contraddizioni della politica
Occorre mettere in atto processi di cambiamento dal basso, affrontando come priorità il
tema della riforma radicale di un ceto politico che non ritiene di dover misurare i propri
comportamenti con l’etica e i valori che discendono dalla Dichiarazione Universale dei
Diritti Umani, dalla Costituzione Repubblicana e da tutti gli esempi mirabili di
esperienze, collettive e individuali, che in tutti i campi del vivere sociale hanno dato
lustro al nostro Paese e rappresentato un riferimento per le donne e gli uomini di buona
volontà.
Un movimento che si radica nel territorio
Il radicamento nel territorio deve essere perseguito per condurre una quotidiana attività
di controllo ed elaborazione politica, nella società e nelle Istituzioni, non legata alle sole
scadenze elettorali, ma costantemente presente nella vita pubblica e nei luoghi del
mondo del lavoro, della scuola e della società tutta. Occorre darsi, in tal senso, obiettivi
di efficacia e continuità anche attraverso la costruzione di un sistema di alleanze e di
confronto con altri soggetti politici e sociali, in grado di raccordare le esperienze locali di
partecipazione e di denuncia e di metterle in rete con altre.
Un movimento ispirato ad un autentico spirito di servizio
Non deve perdersi di vista l'obiettivo di ricercare nuove forme di democrazia che
consentano una migliore diffusione della cultura dei diritti e dei doveri da imporre come
contrasto alla cultura dei rapporti informali di patronage, di norma gestiti dai politici
come strumento di controllo clientelare ed affermazione delle oligarchie.
Un movimento che studia ed elabora sul territorio
Deve essere proseguita l'esperienza dei Cantieri per il programma partecipato di Rita
Borsellino con strutture tematiche di livello regionale e strutture territoriali di livello
municipale che facciano da supporto tecnico-politico a tutte le iniziative settoriali,
elaborando contenuti e proposte per il confronto con la società e con le Istituzioni.
Un movimento contro le mafie senza condizioni
Occorre porsi come alternativa radicale e incompatibile con tutte le forme di mafia.
Queste vanno intese come sistemi composti da organizzazioni tradizionali,
prevalentemente radicate in alcune aree del nostro Mezzogiorno d’Italia ma con grande
capacità di diffusione e adattività in altri territori. Esse sono però anche presenze
dominanti, di carattere militare e parassitario, sofisticate sul piano tecnologico, che
traggono dalle contraddizioni del mondo della politica e dell’economia, interna e
globale, le condizioni per il controllo di ingenti risorse finanziarie e di relazioni tra poteri.
Un movimento che crede nella società civile
Il riferimento essenziale è quello delle società civili di tutti Paesi, anche quelle in cui
l’esercizio delle libertà è più difficile perché da tanto tempo ostacolate attraverso la
violenza e la persecuzione di gruppi e movimenti civili improntati su valori di libertà e
democrazia. Occorre credere nella costruzione di società più giuste attraverso la
mobilitazione di interessi diffusi e al di fuori di gestioni autoritarie ed oligarchiche del
potere, dando voce e riconoscibilità a tutti i movimenti di base che sono
sottorappresentati nelle istituzioni e vogliono collegarsi in un’ipotesi di costruzione di
reti di solidarietà.
Un movimento che crede nella legalità democratica
La legalità democratica rappresentata dalla Leggi dello Stato è centrale, ma va
considerato il confronto e, se è il caso, il conflitto sociale, democratico e non violento,
non come un’insidia per la democrazia, ma come un’occasione permanente per la
società civile e politica d’incontrarsi con le Istituzioni, al fine di rimuovere ogni vincolo,
anche formalmente legale, che, di fatto, violi i diritti delle persone e rappresenti un
ostacolo ad una maggiore giustizia sociale.
Un movimento che provi a rendere evidenti i nessi tra legalità e sviluppo
Occorre progettare misure innovative e prospettive praticabili che consentano di
contrastare il sottosviluppo con misure socio-economiche in grado di valorizzare
l’approccio culturale di uno sviluppo socialmente ed ecologicamente sostenibile.
Un movimento dei diritti e della solidarietà
Le persone che vivono e attraversano il nostro Paese devono avere la garanzia del
dialogo e la disponibilità a rimuovere le cause dell’ingiustizia sociale, promuovendo
politiche della sicurezza e dell’integrazione, contro posizioni autoritarie ed egoistiche.
Questo è possibile se saranno costruiti percorsi di pace a partire dalle periferie delle
città caratterizzate dall'esclusione e della prevaricazione, ma anche se sarà promosso
il dialogo tra governi e popoli, affidando alle relazioni internazionali e alle buone prassi
del confronto non-violento tra le persone la soluzione dei grandi squilibri socioeconomici
nel mondo, da decenni denunciati con sempre maggiore forza dalle più
grandi Autorità morali, laiche e religiose .
Un movimento che sceglie con chiarezza la propria collocazione ideale e politica
Pur in una logica di confronto con tutte le forze politiche e sociali democratiche, ci
riconosciamo nel campo delle forze di progresso, della sinistra libertaria e solidale, del
cattolicesimo democratico e di tutte le donne e gli uomini liberi che rifiutano fermamente
qualsiasi forma di discriminazione razziale, di genere e di orientamento religioso
politico, culturale e di qualsiasi altra natura. Una speranza di progresso è praticabile
solo se fondata nelle diversità, nella ricerca di sempre maggiori opportunità per tutti, nel
rifiuto incondizionato di ogni azione di ispirazione xenofoba e di ogni iniziativa tesa a
diffondere paure ed egoismi.
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